MATERIE PRIME: QUADRATURA DEL CERCHIO?
Sudafrica e Canada sotto la lente dei mercati per le strette correlazioni con il mercato delle commodities, in ripresa dopo la pesante caduta dell’ultimo triennio.
Storicamente il prezzo delle materie prime, le cosiddette Commodities, si muove all’interno di lunghi cicli che durano generalmente 20 o 30 anni, ai quali ci si riferisce con il termine di trend secolari o supercicli. L’ultimo in ordine cronologico è stato il ciclo ribassista con durata di circa 20 anni che ha caratterizzato il comparto dal 1980 fino agli anni 2000. Lo scavallamento del millennio ha infatti osservato anche un repentino cambio d’intonazione sulle quotazioni delle materie prime, come si può osservare dal grafico del Reuters|CRB Index, un indice che ha come paniere sottostante i prezzi di 28 commodities ( energetici, metalli, cereali) listate sulle Borse di New York e canadesi. Il cammino di crescita, con un saldo ancora ben sostenuto rispetto a inizio anni duemila, ha registrato tuttavia un’impennata parabolica lungo il quinquennio 2003-2008, seguita da un fase di pesante e fisiologica caduta dalla quale tuttavia l’intero comparto si è ripreso guadagnando parte del margine perso dopo il picco. Per capire che cosa ha portato quindi al recupero delle ultime ottave rispetto alla fase di lateralità caratterizzante il segmento nell’ultimo anno, vediamo i driver che spiegano l’avvio del trend storico.
UNA STORIA DA RACCONTARE
Il twist di inizio anni duemila trova origini nella pura teoria economica. I due fattori sono stati infatti l’incremento della domanda e la mancanza di offerta. Da un lato infatti, il lungo periodo di mercato ribassista per le quotazioni delle materie prime aveva portato numerose compagnie estrattive a frenare gli investimenti su larga scala, mettendo quindi la produzione sotto pressione, soprattutto quando la domanda ha iniziato a crescere in modo repentino tra le economie emergenti, Cina in testa. La Repubblica del Dragone infatti contava su tassi di crescita del prodotto interno lordo annui intorno ai 12 punti percentuali, un dato nemmeno lontanamente realizzabile dalle economie occidentali alle quali nemmeno le imprese del settore primario erano pronte a far fronte. Numerose le banche d’investimento che hanno quindi puntato sul comparto anticipando le aspettative di un’ulteriore espansione dell’economia cinese. La domanda proveniva infatti principalmente dalla stessa industria, investimenti statali per la costruzione di infrastrutture, ponti e strade, che si sono tuttavia repentinamente frenati con lo scoppio della bolla immobiliare statunitense seguita dal credit crunch. Gli Stati Uniti rappresentavano infatti insieme all’Europa il principale partner commerciale dell’economia cinese, fortemente orientata all’esportazione di prodotti di consumo. Naturale il successivo crollo del comparto, trascinato non solo da una neutralizzazione dei consumi attesi tra le economie mature ma anche da una previsione di crescita dell’economia cinese a tassi non più a doppia cifra. Ad assorbire buona parte della ricaduta sul comparto, hanno tuttavia contribuito le quotazioni dei metalli preziosi, beni rifugio per antonomasia e anticiclici, legati quindi maggiormente al mercato monetario che all’industria manifatturiera. Con un tasso di crescita atteso non inferiore al 7%, e con una politica restrittiva volta ad assorbire parte dell’inflazione, la Cina sembra ancora poter giocare un ruolo chiave nel settore. Le misure adottate dal partito per garantire maggiore indipendenza all’economia cinese, hanno gradualmente “occidentalizzato” i propri cittadini, rendendoli meno risparmiatori e più consumatori grazie anche ad un reddito pro capite in crescita rispetto allo scorso decennio. Secondo i dati del National Bureau Of Statistics China, nel 2004 il reddito procapite annuo era pari a 8500 yuan (1400 dollari) mentre ora il cittadino medio dispone di 25000 yuan annui, ovvero circa 4200 dollari. Cifre da ammortizzatore sociale per l’economia occidentale, ma che segnano comunque un balzo quadruplo rispetto soli 10 anni prima. Secondo lo stesso istituto di statistiche, la maggior disponibilità si è tradotta in un maggiore spesa privata a livello assoluto che secondo quanto previsto, potrà tramutarsi nei prossimi anni in un maggior peso relativo del consumo discrezionale, andando quindi ad alimentare, dal lato privato e non da quello pubblico, il comparto materie prime. La fiducia dei consumatori cinesi, così come la domanda di credito è infatti in continuo aumento. D’altra parte, cosa succederebbe in un già debole quadro economico a quelle economie che si sono rafforzate nell’ultimo decennio grazie all’impennata nelle quotazioni delle materie prime? Lungo l’ultimo decennio infatti l’incremento nella domanda di materie prime ha spesso mascherato problemi strutturali e ritardato la diversificazione dell’industria. Finito il periodo di “vacche grasse”, si sono così trovate spesso impreparate non solo le economie emergenti, ma anche quelle più consolidate come Australia o Canada.
SUD AFRICA, IL RAND SEMPRE PIU’ SOTTO PRESSIONE
Il Sudafrica sta attraversando non pochi problemi strutturali. Chiamata a convivere con dei conflitti mai risolti all’interno della propria popolazione, che proprio in queste ore sta rendendo omaggio al proprio leader pacifista Nelson Mandela, la difficile quadratura del paese più occidentale del continente nero, si trova ora impegnata non solo a combattere contro un mercato del lavoro poco flessibile ma anche contro un incremento della domanda di energia ed un’offerta limitata da parte delle compagnie, di proprietà statale, che utilizzano canali di 30 o 40 anni fa. Le statistiche fornite da un investitore professionale al sito Soberlook.com mostrano inoltre come a causa della recente caduta dei prezzi delle materie prime, delle minori esportazioni e della debole crescita degli investimenti stranieri, il deficit sarà pari al 5-6% del PIL nazionale, atteso ad un valore non superiore al 2%. Potrebbero quindi essere messi in discussione gli investimenti pubblici necessari per rilanciare il mercato del lavoro che conta un dato sulla disoccupazione pari al 25%. Le agenzie di rating continuano tuttavia a confermare Investment Grade lo stand creditizio della nazione benché il mercato monetario invii segni di debolezza. L’effetto immediato di un positivo recupero dell’economia a stelle strisce ha infatti determinato una fuoriuscita di capitali esteri dal governativo sudafricano, detenuto per il 37% da investitori stranieri, provocando non solo un ritorno del rendimento sul decennale al 7,94% rispetto al 6,8% dello scorso anno, ma anche un cambio USD/ZAR sui massimi degli ultimi 5 anni in area 10,50 rand sudafricani per dollaro statunitense , incentivato dalle attese di una fine degli stimoli da parte della FED.
CANADA, L’ALLUMINIO AI MINIMI
Anche l’economia canadese rimane vulnerabile all’indebolimento delle materie prime, soprattutto risorse naturali e comparto energetici, come il WTI, sceso di circa 8 punti percentuali nell’ultimo trimestre. La dipendenza dall’esportazione di materie prime è tuttavia in buona parte spiegata dal tentativo di compensare una debole produttività del settore manifatturiero. Secondo i dati raccolti da BMO Capital Markets, a causa degli alti costi della manodopera nell’ultima decade scarsi sono stati gli investimenti in operazioni ad alto consumo di manodopera ponendo un freno non solo all’occupazione ma all’intero settore manifatturiero. La maggiore dipendenza dall’export di risorse naturali ha quindi reso l’intera economia maggiormente esposta all’andamento del comparto commodities. Se rispetto allo scoppio della crisi, il settore sembra in fase di buona ripresa in termini di aggregato (male sul saldo netto), la componente non-energia continua a rimanere negativa secondo dati BMO Capital Markets. Un affaticamento che costa caro al Canada, terzo produttore mondiale di alluminio. Il rallentamento del “progresso” cinese ha infatti spinto il prezzo spot dell’alluminio ai minimi degli 4 ultimi anni. Se l’aumento delle capacità produttive e di stoccaggio da parte degli USA raffredderanno ulteriormente il prezzo del petrolio e la Cina non dovesse dare nuova linfa al settore dell’industria pesante, quali saranno le prospettive per il Canada?