LA MIOPIA DELLA TOBIN TAX
Tutti ne parlano, ma non c’è ancora nulla di definitivo. Lo studio Hogan Lovells descrive gli effetti dell’applicazione della Tobin Tax a partire dal 2013.
Con il disegno di Legge 2013, ancora in bozza, il Governo italiano ha previsto l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, cd. Tobin Tax, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 2013.
Le modalità di applicazione e prelievo dell’imposta saranno disciplinate con appositi decreti attuativi.
Applicazione
Secondo il disegno di legge – che prende le mosse dallo schema di Direttiva Comunitaria in tema – la Tobin Taxinteresserebbe la stragrande maggioranza degli strumenti finanziari e sarebbe applicata senza distinzioni di sorta con un’unica e medesima aliquota. In questo modo, una tassa pensata per arginare il fenomeno delle speculazioni in borsa e colpire soprattutto l’high frequency trading (come del resto si legge anche nella Relazione al disegno di legge), diviene in realtà un’imposizione che grava nello stesso ed identico modo tanto sui grandi speculatori quanto sui risparmiatori.
Il prelievo si sostanzierebbe nell’applicazione di un’imposta di bollo pari allo 0,05%, da applicare a:
(i) le compravendite di azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi di società italiane sia quotate che non, ad esclusione delle operazioni effettuate al momento di emissione e di annullamento dei titoli; e
(ii) le operazioni sui derivati.
Tra quelli che ne escono indenni, ci sono sicuramente i titoli di Stato (di Paesi UE o partecipanti al SEE che consentono lo scambio di informazioni), che già nelle precedenti manovre finanziarie erano stati “salvati” dagli interventi di aggravio della leva fiscale, e le obbligazioni. Esentate anche le operazioni che hanno come controparte l’Unione Europea, la Bce, le banche centrali, gli organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali di altri Stati e gli enti o gli organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia.
Per quel che attiene la base imponibile, essa è costituita nell’ipotesi (i) dal valore della transazione, mentre nell’ipotesi (ii) dal valore nozionale del contratto.
Il mancato pagamento dell’imposta determina la nullità delle operazioni poste in essere.
L’imposizione si applica alle operazioni effettuate nel territorio dello Stato e a quelle realizzate all’estero purché almeno una delle parti sia fiscalmente residente in Italia.
L’imposta sarà dovuta in parti uguali dalle controparti e sarà prelevata dagli intermediari finanziari abilitati che intervengono nell’operazione o, in mancanza, dagli altri soggetti che intervengono nell’operazione (quali, ad esempio, i notai).
Pro e contro
La Tobin Taxdovrebbe consentire di stabilizzare i mercati e contemporaneamente generare delle risorse da destinare al rilancio della crescita economica. Nella Relazione al disegno di legge, infatti, si parla di ben 1.088 milioni di euro di gettito.
Nonostante ciò, non sfugge come la mancata applicazione generalizzata di tale imposizione (non solo a livello mondiale ma anche all’interno della UE visto che, in mancanza di un consenso unanime degli Stati si è dovuto ricorrere allo strumento della cooperazione rafforzata che oggi vede partecipare solo 10 Stati su 27), sacrifichi le finalità della Tobin Tax. Ed infatti, è facile immaginare fenomeni di localizzazione delle transazioni in Paesi che hanno optato per la non introduzione dell’imposta.
L’introduzione della nuova imposizione, del resto, sembra determinerà una drastica riduzione delle transazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari colpiti dalla stessa. In più, nel caso di introduzione di Tobin Tax con aliquote diverse nei vari Paesi, a seconda delle operazioni, si potrebbe assistere ad un aumento della speculazione. Gli investitori potrebbero, infatti, giocare sul diverso prelievo fiscale attuato nelle varie giurisdizioni, operando in Paesi detassati o in quelli che hanno introdotto un trattamento meno oneroso.
Sotto questo profilo, anche l’applicazione della Tobin Tax alle azioni emesse dalle sole società residenti in Italia determina non poche perplessità. Ed invero, restando ferma la possibilità per i non residenti di effettuare all’estero transazioni su azioni italiane senza essere tenuti al pagamento dell’imposta, permangono rischi di elusione.
Come anticipato, infine, l’applicazione di un’unica aliquota che non tenga conto della natura dello strumento finanziario né dello status dell’investitore finisce per penalizzare soggetti che operano con finalità ben lontane da quelle speculative. Si pensi, in primis, agli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi comuni di investimento) che quotidianamente si muovono nel mercato finanziario, o alle imprese che usano spesso i derivati per coprirsi dal rischio di variazioni nei tassi di cambio oppure ai risparmiatori che contraggono mutui a tassi variabili a cui si accompagnano strumenti derivati. Tali soggetti sconterebbero un’imposizione esattamente identica a quella che colpirebbe gli speculatori.