La corsa forsennata del debito made in Cina
Per la prima volta in quasi 30 anni, Moody’s ha rivisto al ribasso il rating sul debito sovrano della Cina. L’ultima volta che l’agenzia di rating USA tagliò il rating cinese fu nel novembre del 1989, non molto tempo dopo la sanguinosa repressione delle proteste di massa in Piazza Tienanmen. Il downgrade ha fatto abbastanza scalpore e scatenato le critiche di Pechino, con il ministero delle Finanze che ritiene che Moody’s sopravvaluti le difficoltà dell’economia cinese e sottovaluta la capacità del governo di approfondire le riforme.
A ben vedere dovrebbe sorprendere di più il ritardo con cui è arrivato tale declassamento. La crescita economica cinese è in costante rallentamento (anche se rimane ancora molto sostenuta) e le riforme procedono a rilento, ma il vero punto di domanda riguarda il deterioramento della solidità finanziaria del paese guardando ai prossimi anni. Il debito è in aumento e, anche se ancora contenuto, a destare le maggiori preoccupazioni è il ritmo a cui sale.
Il total debt (Corporate + household + government + bank debt) è arrivato al 257% del PIL alla fine del 2016. Non è tanto lo stock, simile a quello di altri paesi industrializzati, a impressionare. Fa scalpore il ritmo di crescita del ratio, passato dal 160% del 2008 ai livelli attuali con un aumento del 60% in soli 8 anni. Considerando un ritmo di crescita del 15% annuo, il ratio sfonderà il 300% nel volgere di 2 o 3 anni. Naturalmente le autorità potrebbero decidere di calmierare tale ascesa e in parte già lo stanno facendo dopo gli stimoli messi in atto per supportare il ciclo nel 2015. Un’azione più decisa di contenimento non appare invece negli interessi attuali di Pechino che non vuole assolutamente rischiare un marcato rallentamento della crescita cinese.
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