AMERICAN DREAM?
Indici in perfetta forma e fiducia dei consumatori sui massimi dallo scorso aprile. Si chiude così il primo trimestre dell’ ”Election year”, con gli Stati Uniti in testa alla ripresa. Tra chi chiede un prossimo aumento dei tassi d’interesse e chi invece invoca il terzo QE, vediamo quali insidie potrebbero nascondersi dietro al sogno americano.
Il discorso a toni cauti tenuto lo scorso lunedì dal presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, non ha fatto trasparire alcuna mossa di politica monetaria in direzione di un ritocco dei tassi d’interesse, ribadendo invece il sostegno del mercato del lavoro attraverso politiche accomodanti. Benché il Consumer Confidence Index rilasciato dall’università del Michigan per il mese di marzo sia tornato sui massimi dello scorso anno, l’indice Pending Home Sales (vendita di case con contratti ancora in corso) nel mese di febbraio ha mostrato un calo dello 0,5% rispetto ad una crescita attesa dell’1%. Ha mancato le attese anche il dato sull’attività economica per marzo dell’area del Texas, il Dallas Fed Manufacturing, a quota 10,8% rispetto al 16% atteso. L’Index Surprise, positivo se vengono soddisfatte o superate le attese, ha invece intrapreso un trend in discesa, segnale di eccessivo ottimismo da parte degli analisti.
Tra chi vede nel corrente trend di mercato un ciclo rialzista all’interno di un bearish market di fondo e chi invece considera le piazze statunitensi fortemente underpriced, proviamo ad individuare alcuni driver da cui partire per ottenere un miglior quadro d’insieme della situazione economica statunitense. La prima variabile chiave sono i partner commerciali. Cina ed Europa, i principali peers statunitensi, si trovano entrambi in acque difficili. Il piano di salvataggio dello stato ellenico, non ha infatti assicurato la solvenza sulle prossime scadenze degli altri stati periferici, come Spagna, Irlanda e Portogallo, e ciò fa si che le scelte della BCE ottengano una cassa di risonanza anche oltreoceano. Sull’altro versante sono invece i timori per il rallentamento dell’economia cinese a mettere un freno alla ripresa statunitense. Proprio le scelte di politica monetaria della FED, rappresentano la seconda variabile chiave, con il livello dei tassi d’interesse estremamente basso, sul quale per il momento Bernanke non intende intervenire, che sostiene il credito al consumo ma ha per contro effetti sia sul mercato valutario che sull’inflazione. Come dimostra il report settimanale sul Forex di JP Morgan, nell’ultima settimana la correzione al ribasso vista sui Treasury a due anni, ora a quota 0,346% dal precedente 0,4%, ha causato un indebolimento del Dollar Index, ovvero del paniere di cross valutari tra dollaro e valute dei maggiori partner commerciali. Dall’altro lato, il caro benzina, causato da un aumento del 12% su base annua, sta continuando ad erodere il consumo di petrolio. A proposito poi della fiammata dei prezzi del greggio, anche se la campagna elettorale di Obama si muove nella direzione dell’indipendenza energetica, il possibile embargo dei rifornimenti da parte dell’Iran, anche se temporaneo, sarebbe causa di notevoli squilibri sui mercati statunitensi.
In termini di variabili endogene, la sostanziale congestione in cui si trova il mercato delle vendite di nuovi immobili dimostra come i tentativi messi in atto dal governo, per frenare il crollo del prezzo degli immobili dallo scoppio della crisi dei subprime, non abbiano ancora prodotto i risultati sperati. Eppure, suggeriscono gli analisti di Sociètè Gènèrale nell’ultima analisi sull’economia statunitense, qualsiasi scenario, almeno di lungo termine, non può prescindere da un sostanziale recupero di tale settore.
Sempre gli analisti della banca francese, tengono in considerazione due ulteriori variabili endogene, che, pur non volendo mettere in dubbio la legittimità della tonicità mostrata fino ad ora, offrono interessanti spunti. Da un lato la presenza degli stimoli fiscali in scadenza a fine 2012, sui quali il Congresso difficilmente interverrà nel corso dell’anno data la tornata elettorale in corso, e dall’altro un bias statistico dovuto ad una crescita del Pil straordinaria, ovvero spinta al rialzo dalla massiccia distorsione causata dal crack Lehman tra settembre 2008 e marzo 2009.
Volgendo ora uno sguardo al panorama dei certificati, vediamo quali interessanti proposte possano essere messe in watchlist per tenere sotto osservazione le borse d’oltreoceano.
EXPRESS PREMIUM SUL “BENCHMARK”
Considerato il benchmark di mercato per antonomasia, l’indice S&P 500 è stato scelto da Banca IMI come sottostante per il nuovo Express Premium, attualmente in collocamento. Il certificato, caratterizzato da una struttura autocallable affiancata a cedole annuali, può rivelarsi un interessante strumento per chi vedesse nel lungo periodo una fase di sostanziale lateralità o di modesto rialzo dell’indice a stelle e strisce. Con scadenza fissata al 30 marzo 2016, l’Express di Banca IMI si caratterizza per la presenza di due finestre per il rimborso anticipato al termine del secondo e terzo anno di vita, ovvero al 21 marzo 2014 e al 20 marzo 2015, dove potrà essere liquidato con un importo pari rispettivamente a 1050 euro e 1100 euro qualora l’indice venga rilevato a un livello almeno pari o superiore allo strike iniziale che verrà fissato in sede di emissione. Qualora venissero mancati entrambi gli appuntamenti, si guarderà direttamente alla scadenza, dove il rimborso sarà di 1150 euro se l’indice delle large cap statunitensi sarà pari o superiore allo strike. Se invece il sottostante chiuderà ad un valore inferiore, fino ad un ribasso pari al 50%, il certificato proteggerà il capitale nominale e in più riconoscerà una cedola pari al 3%. Qualora l’S&P 500 sosti al di sotto della soglia knock out, infine, il rimborso replicherà linearmente la variazione complessiva del sottostante. La componente Premium prevede tuttavia che alla classica struttura Express si affianchi il pagamento di una cedola tale da garantire in ogni scenario lo stacco annuale di un premio. Al 30 marzo 2013 verrà infatti erogato un importo pari a 50 euro, a cui ne seguiranno due da 30 euro ciascuno in concomitanza delle due date di rilevazione anticipata, quale premio di consolazione in caso di mancata estinzione.
EASY EXPRESS SU APPLE
Programma di buy-back e stacco di dividendi: Apple comincia a dare i suoi frutti. Con un apprezzamento del 49,87% da inizio anno, a quota 606,98 dollari, ha contribuito per la maggiore a portare il Nasdaq 100 sul gradino più alto del podio tra gli indici a stelle e strisce. L’annuncio del CEO Tim Cook di voler distribuire un dividendo trimestrale di 2,65 dollari e dare avvio ad un programma triennale di buy back azionario da 10 miliardi di dollari ha spinto ancora più in alto le quotazioni del colosso di Cupertino. La scelta, dettata da una liquidità di circa 98 miliardi di dollari e dall’assenza di debito, più che riferirsi al raggiungimento di una fase di maturità, rientra infatti all’interno di un programma strategico in cui il potenziamento di sviluppo e ricerca mantiene il ruolo da protagonista. Con una crescita attesa degli EPS pari al 58,72% per il prossimo anno, lo stacco di un dividendo con rendimento equivalente all’1,75% su base annuale potrebbe sembrare una scelta riduttiva. Tuttavia, questo risulta addirittura doppio rispetto al dividend yield staccato dal Nasdaq 100, pari allo 0,88%.
L’impennata delle quotazioni di Apple ha trascinato al rialzo anche i sei certificati aventi come sottostante la mela morsicata, tutti appartenenti alla categoria delle emissioni a capitale condizionatamente protetto. Solo una delle sei proposte non ha ancora scontato buona parte del premio riconosciuto a scadenza, ossia l’Easy Express targato BNP Paribas, entrato in negoziazione sul Sedex lo scorso 20 marzo. Rilevato uno strike a 585,57 dollari, il certificato rimborserà alla scadenza del 21 marzo 2014, 100 euro ogni 83,23 euro di nominale se il titolo Apple chiuderà al di sopra della barriera, posta a 556,2915 dollari. Agli 84,85 euro a cui è esposto in lettera, il certificato riconosce pertanto ancora un upside del 17,85%, in virtù della vicinanza della barriera, a un buffer dell’8,35%. Grazie alla bassa volatilità di cui gode il titolo, il prezzo del certificato si mostra comunque reattivo ai movimenti al rialzo del sottostante.