Le frecce nell’arco tricolore
In attesa che l’Istat e il Cnel mettano a punto un indicatore alternativo al pil per misurare il benessere nazionale, l’Italia si trova nuovamente a fare i conti con i numeri nudi e crudi. La nostra economia è fanalino di coda del Vecchio continente nell’ultimo decennio e all’opera di risanamento dei conti pubblici non si è abbinata una parallela azione riformatrice. Dal 2001-2010 il tasso medio annuo di crescita dell’Italia risulta pari allo 0,2%, contro l’1,1% della media dell’eurozona. Il ritmo di espansione della nostra economia è stato inferiore di circa la metà a quello medio europeo nel periodo 2001-2007 e il divario si è andato allargando nel corso della crisi e della ripresa attuale. I positivi riscontri di fine 2010 sono stati subito cancellati dalla prima stima relativa ai primi 3 mesi del 2011 con un flebile progresso dello 0,1 per cento su base trimestrale. Inizio d’anno con il freno a mano tirato che ha indotto l’Ocse ha rivedere nuovamente al rialzo le stime sull’Italia per l’intero 2011. L’organizzazione parigina nell’Economic Outlook diffuso oggi ha portato a +1,1% la stima di crescita del pil italiano nel 2011 rispetto al +1,2% previsto lo scorso 9 maggio. Già in quell’occasione l’Ocse aveva limato lievemente la stima di crescita sull’Italia portandola all’1,2% dall’1,3% precedente. Confermato invece il +1,6% per il 2012. Il rapporto Ocse non manca di rimarcare la capacità del Belpaese di mantenere i conti pubblici sotto controllo con il deficit dimostratosi migliore del previsto nel 2010. Roma però è chiamata a rispettare gli impegni anche quest’anno e il prossimo puntando, oltre allo stretto controllo della spesa pubblica, anche su ulteriori miglioramenti nelle entrate fiscali. Ma quello che l’Ocse e non solo chiedono all’Italia è un impegno concreto in un percorso di riforme strutturali che migliorino il potenziale dell’economia. L’Italia non sembra comunque in procinto di finire nel girone dei Paesi a rischio e potrebbe riservare anche sorprese positive per gli investitori. Ad esempio gli esperti di Ubs sottolineano come ci siano ben sei buoni motivi per puntare sul Belpaese. In particolare la casa d’affari elvetica rimarca come l’Italia presenta uno dei più bassi disavanzi di bilancio più bassi in Europa; le sue banche sono ben capitalizzate; rappresenta una delle economie meno correlate al ciclo economico e all’attività manifatturiera; beneficia di tassi di interesse più elevati; la dinamica degli utili risulta in via di guarigione e ora risulta sostanzialmente in linea con l’Europa. Inoltre Ubs sottolinea come il 68% del mercato azionario italiano dipende da tre settori (energia, banche e Utilities), settori che sono reduci da una sottoperformance negli ultimi 12 mesi e su cui Ubs ha rating overweight.